PER RIFLETTERE SUL VANGELO
Mt 10,17-22
La festa del Natale viene immediatamente seguita da quella di Santo Stefano, primo martire, il primo di una lunga schiera di uomini e donne che hanno dato la vita per il Signore. La liturgia chiede dunque di manifestare con la vita la nostra fede in Gesù Cristo. Nel Nuovo Testamento la parola martirio indica semplicemente la testimonianza che i discepoli di Gesù sono chiamati a dare dinanzi al mondo. La fedeltà al Vangelo comporta non pochi rischi, chi sceglie di seguire Gesù li conosce e li mette in conto. Il Maestro è sempre stato chiaro: “Sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato”. Queste parole del Signore non turbano la celebrazione del Natale, ma la spogliano di quel falso rivestimento dolciastro che non le appartiene. Ci fanno comprendere che nelle prove accettate a causa della fede, la violenza è sconfitta dall’amore, la morte dalla vita. E per accogliere veramente Gesù nella nostra esistenza e prolungare la gioia della Notte Santa, la strada è proprio quella indicata da questo Vangelo, cioè dare testimonianza a Gesù nell’umiltà, nel servizio silenzioso, senza paura di andare controcorrente e di pagare di persona. La salvezza che Gesù dona non ci libera dalla sofferenza. Al contrario, la sequela implica le prove e la sofferenza. Quanti discepoli, lungo i secoli, per amore di Gesù, hanno vissuto l’esperienza della croce. Non c’è solo il martirio cruento. C’è chi rischia la vita per il prossimo e chi la consuma ogni giorno per gli altri, goccia a goccia, senza mai indietreggiare dinanzi alle difficoltà. Non perché ci sente forte e capace ma solo per far piacere a Gesù, come diceva santa Teresa. È questo il canto della fedeltà. Oggi chiediamo la grazia di perseverare nella fede anche quando le prove pungono come spine nella carne, quando i dubbi ci assalgono e quando le incomprensioni degli altri ci feriscono.