PER RIFLETTERE SUL VANGELO
Gv 13,1-15
Dopo aver lavato i piedi, Gesù si siede, riprende le vesti del Maestro e lascia ai discepoli un insegnamento che ha il sapore di un testamento: “Sapendo queste cose, sarete beati se le metterete in pratica”. In realtà, in questo caso, Gesù non ha proposto una catechesi sulla carità fraterna, la sua lezione era tutta racchiusa nel gesto che egli ha compiuto. I discepoli hanno imparato attraverso gli occhi, hanno visto di persona cosa significa mettersi al servizio del prossimo. “Ora, dice Gesù, fate come me”. Non basta aver visto e neppure aver capito. Se vogliamo ripetere la lezione del Maestro dobbiamo fare, proprio come ha fatto Lui. Potremmo sintetizzare così: vedere, capire e mettere in pratica. Ricordando, però, che la beatitudine è legata al fare. Salta ogni artificiale separazione tra contemplazione e azione. La preghiera ci pone dinanzi al mistero, ci permette di vedere Gesù, di scoprire il suo volto e il suo modo di agire, così diverso da quello del mondo. La preghiera non basta, è solo il primo tempo della partita. Occorre manifestare nella vita ciò che abbiamo “visto”. L’incontro con Dio ha una sua intrinseca fecondità. Dio non solo apre gli occhi (e ci fa vedere i bisogni del prossimo, anche quelli più nascosti) ma dona il coraggio di agire. Se manca la contemplazione del mistero, il nostro agire è vuota agitazione, prima o poi ci stanchiamo. Se manca la testimonianza della vita, rendiamo sterile la Parola.
Ogni giorno le suore di Madre Teresa, dopo aver incontrato Gesù Eucaristia, recitano questa preghiera: “Resta in me. Così splenderò del Tuo stesso splendore e potrò essere di luce agli altri. La mia luce verrà tutta da Te, Gesù, nemmeno il più tenue raggio sarà mio. Suggeriscimi la lode che ti è più gradita, illuminando altri attorno a me. Che non ti predichi con le parole, ma con l’influsso delle mie azioni, col fulgore visibile dell’amore che il mio cuore riceve da Te”. Oggi ci impegniamo a compiere piccoli gesti di carità per manifestare la tenerezza di Dio.