PER RIFLETTERE SUL VANGELO
Gv 17,20-26
“Siano anch’essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato”. Gesù prega per i suoi discepoli e chiede al Padre che la Chiesa custodisca l’unità: non è solo un bene essenziale ma anche la premessa indispensabile per vivere la missione. Il progetto salvifico di Dio abbraccia tutta l’umanità, la Chiesa è solo il segno e lo strumento di quella salvezza che Dio vuole donare a tutti. La Chiesa “si sente realmente e intimamente solidale con il genere umano e con la sua storia”. La Chiesa non è un salotto in cui stare comodi, al riparo dai problemi, ma una comunità che accende e comunica il desiderio missionario. In nessun’altra parte del Vangelo emerge così chiaramente l’inestricabile intreccio tra comunione e missione: se manca l’unità, la missione è zoppa. Come possiamo annunciare agli uomini che Dio vuole unire popoli e nazioni, culture e civiltà se la comunità ecclesiale è percorsa da discordie e conflitti che non raramente innalzano muri e generano rotture. Come può la Chiesa diventare un ponte tra le nazioni se al suo interno sperimenta un’inguaribile divisione?
La missione dipende dalla comunione. Anzi, possiamo dire che la comunione è la prima parola missionaria perché l’unità visibile rappresenta un vero e proprio annuncio, una parola che stupisce e affascina. “In un mondo lacerato da discordie la tua Chiesa risplenda segno profetico di unità e di pace”. Le resistenze e le opposizioni che oggi sperimentiamo a tutti i livelli non devono scoraggiarci né impedire di coltivare l’ideale evangelico. Se Dio mette nel cuore una missione così grande, vuol dire che è possibile realizzarla. Non dimentichiamo che le parole di Gesù si presentano nella forma di una preghiera che egli rivolge al Padre, una preghiera che accompagnerà tutti i secoli. Gesù prega e intercede per noi, egli sa bene che non siamo in grado di assolvere questa missione, troppo grande per le nostre forze. La sua preghiera è per noi garanzia e consolazione.