PER RIFLETTERE SUL VANGELO
Mt 6,7-15
“Venga il tuo regno”. Il Padre nostro è l’unica formula orante che Gesù ha insegnato, per questo viene chiamata “la preghiera del Signore” è deve essere considerata come la preghiera più eccellente. Ogni frammento di questo brano ha un valore immenso. Per non restare sulla soglia, oggi vi chiedo di meditare la seconda invocazione, quella che racchiude e sintetizza ogni altra domanda. In effetti Gesù inizia la predicazione proprio annunciando che il Regno è ormai vicino, è già presente nella storia perché è Dio stesso che lo realizza attraverso la persona del Figlio. Chiedere che venga il Regno significa domandare che la promessa di Dio si compia qui ed ora, che il seme gettato nella terra da Gesù inizi a germogliare in modo che sia visibile a tutti. Il Regno che oggi appare porta tutti i segni dell’umana imperfezione, è una realtà che troverà la sua espressione piena e definitiva solo nell’ultimo giorno. E tuttavia, deve essere fin d’ora il cuore di ogni preghiera e il criterio che misura ogni nostro impegno. È questa la sua volontà, come appare poco dopo: “Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta”. Se questa è la premessa, è chiaro che ogni altra richiesta ha senso se viene subordinata ad essa e in essa trova alimento.
La vita dell’uomo è continuamente immersa nelle molteplici necessità, a volte ci sembra di essere come nuvole sospinte dal vento dei bisogni materiali. Gesù conosce bene tutto questo. E tuttavia invita a misurare tutto con il desiderio del Regno. Per questo chiede di non correre dietro alle cose, neppure a quelle che sono legittime: “non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete…”. Non è questo il nostro interesse primario, il centro e il cuore del nostro agire. La preghiera non è una comoda consegna di richieste. Quando chiediamo a Dio di manifestare il Regno, ci impegniamo a fare tutta la nostra parte. Con il cuore si chiede e con le mani si lavora.